L’ho appeso accanto alla mia scrivania, il posto dove ogni giorno lavoro o cose del genere. Ho sempre pensato fosse un ritorno al gioco, questo piccolo quadro che potrebbe essere un pattern di tessuti ikea. Non so perché, però mi piace. Sono due o tre i quadri dai quali non mi separerei volentieri, e questo è uno di quelli. Ricordo di averci messo un sacco di tempo a realizzarlo perché ho lavorato lentamente, gustandomi la cura dei dettagli, giocandoci su ma anche pensando spesso (forse troppo spesso) che stavo perdendo tempo. Perché lo ammetto, dipingere è un lusso (mica tutti hanno la possibilità di dedicare tempo per sé e nient’altro) che però comporta un po’ di controindicazioni. Occorre avere la forza di sopportare il senso di colpa del non essere produttiva, di non essere un elemento inserito nel sistema. Si prova un’irrazionale paura di essere giudicata. E poi si fa fatica a sopportare la frustrazione del quadro che non va, che non funziona come doveva, che è -semplicemente- brutto. Hai lavorato tanto a un’idea, ti sei impegnata e poi ti arrendi: no, questo percorso è un vicolo cieco, non doveva andare così. Quante volte mi è successo. E infine, ed è la cosa più pesante, si deve accettare l’idea di non essere un’artista ma che va bene così, anche se non hai inventato niente. Perché spessissimo credi di aver inventato, sperimentato, percorso un nuovo filone ma no, in arte niente è nuovo anche se si, vale la pena provarci comunque. Per me dipingere è un atto di coraggio. Perfino se quello che hai fatto resta su uno scaffale e magari, un giorno, verrà buttato in discarica perché a nessuno importa, vale la pena farlo. Perché nonostante tutto, dipingere è bello proprio come giocare.
